CARLO DE MEO

Artista italiano. Ha esordito a metà degli anni ’90 rielaborando oggetti comuni di plastica e gomma in oggetti visionari. Dal 1999 l’interesse si è concentrato sul proprio corpo, prima direttamente coinvolto in performance, in cui l’artista ha indossato protesi di tubi luminosi, poi rappresentato in modo ironico e impietoso in autoritratti scultorei in scala rimpicciolita. (Enciclopedia dell’Arte Zanichelli, Bologna, 2004).

Ha esposto in numerosi spazi espositivi in Italia e all’estero tra i quali: Fondazione Volume, Roma – MART, Rovereto – Fondazione Sandretto, Torino – Fondazione IDIS, Napoli – CIAC, Genazzano – Triennale Design Museum, Milano – MACRO, Roma – Cittadella della cultura, Bari – Palazzo della Permanente, Milano – Museo Carandente, Spoleto – Gall. Nazionale di palazzo Spinola, Genova – Fondazione Pistoletto, Biella – Bad Museum, Casandrino –  Museo Laboratorio, Città di Castello – Fondazione Blickle, Kraichtal, Germania – Kunstverein,  Augsburg, Germania – Kunsthalle, Goppingen, Germania – Die Galerie, Frankfurt, Germania – Museo Benaki, Atene, Grecia – Neue Galerie, Graz, Austria – Dune Studios, New York, USA – Parlamento Europeo, Bruxelles, Belgio – Ambasciata italiana, Jerevan, Armenia – ed è stato attivo promotore culturale attraverso la fondazione di riviste d’arte contemporanea quali APPARECCHIO (1994-96) e ARIA (2011-14).

PH. Ilaria Tortoriello

TITOLO PROGETTO PER SEMINARIASOGNINTERRA23

COME QUANDO FUORI PIOVE

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Il 14 marzo 2011 alle ore ventuno e trentasei, scrivevo:
Oggi è più difficile rispondere a questa domanda, forse domani sarà più semplice ma di certo ieri mi sembrava tutto più chiaro. Ma il dubbio mi assale in questa sensazione di essere proiettato in un “dopodomani” e pensare a domani come un ieri.
E stavo rispondendo a tutt’altra domanda.
Oggi, estrapolata da un contesto passato, riattualizzata, la frase citata ci apre ad un’idea di un tempo fluido, liquido, ondoso come mare che spumeggia nella risacca con la sua piccola, continua onda del presente. Un presente che spuma nell’idea del futuro, sostenuto dall’oceanica energia del passato in un riflusso continuo, perpetuo e circolare. 

Quali sono gli elementi su cui vorresti lavorare ancora?
Sicuramente sono quelli con cui sto lavorando, finché non sarò distratto da altri ulteriori elementi. Il desiderio di altro o altro ancora è conseguenziale all’esercizio di attenzione agli elementi stessi, che siano visivi, concettuali, strutturali o narrativi. Non ho desideri accantonati ma stimoli continui, piccoli presenti che si proiettano in un sempre prossimo futuro. 

Raccontami di più dell’opera per Seminaria.
Ti racconto qualcosa, forse qualcosa di più di quel che ora è ma certamente non tutto quel che sarà e sarà un camminamento nel camminamento di Seminaria. Ripetizioni e ripetizioni tra passi ripetuti in un trinceramento narrativo. E il percorso, perentorio e tortuoso, che inizia dritto, curva e sale per poi svirgolarsi, scendere e finalmente aprirsi, diventa penombra da cui affiorano, in un fiorir di fiori, pensieri frammentati, rotti e riconsiderati in una consequenzialità concatenata di immagini, forme e parole coincidenti, tra astrattismo temporale e figurativismo osmotico, tra calma e caos, tra fuori e fiori. Un percorso apparentemente lineare (considerando il sentiero per tappe del festival) che si rivela spiralico spingendo lo spettatore in un vortice di perdimento percettivo. NAUFRAGIO.
Lo spazio angusto si riempie di oggetti di casa. Mobili, porte, tappeti, fuori dalle dimore, si ridisegnano nel luogo e in rapporto con esso danno vita ad un narrazione antropomorfica e visionaria.
Ci sono, all’inizio, porte, ombrelli e un portaombrelli (Lui) che temporeggia, fermo, lì, finché il tempo regge… temporeggiare e offrire fiori in uno stendere di tappeti a tappe e comodamente stare in quel che serve. TEMPOREGGIARE. Finché tutto frana in un rapido fiume, nel grande mare, in un dolce naufragare. 

Un progetto che non hai potuto realizzare, ma che ti piacerebbe fare?
Ho la piacevole sensazione di aver realizzato tutti i miei progetti che riguardano la mia produzione artistica.
Nelle fasi finali di un progetto, sono così dentro l’idea che essa prende corpo e spazio. L’idea stessa, una volta definita in tutte le sue parti, si concretizza nella mia immaginazione, diventa, è e sarà, mentre altre immagini visionarie, al limite della fattibilità orbitano intorno alla sfera del desiderio. Ma, per dare concretezza a questa risposta, un esempio può essere l’opera itinerante “TIR – Tao Internationaux Routiers”, del 1997, progettata per una vasta operazione sulle terre del Mediterraneo all’interno del progetto LE VIE DEL SALE: 4 artisti e un poeta (D’Elia, De Meo, Icaro, Orti, Spagnulo), di cinque generazioni, intenti a lasciare un segno geografico, una enorme Tau (simbolo di salvezza) tra Sarajevo (in guerra) e il resto del Mediterraneo. Il progetto, pubblicato in un catalogo progettuale, non andò mai a termine.

Un’opera pubblica appartiene e coinvolge tutti. Uno spazio tra arte e vita, con la collaborazione del tempo, può diventare luogo identitario?
Sicuramente si se, per qualche motivo, per una combinazione di casi, per un immaginario collettivo o per potenza comunicativa dell’opera stessa,  diventa punto di riferimento, estetico, etico, geografico o anche solo per un appuntamento e un caffè al bar.