SARA BERNABUCCI

Nel 2007 Sara Bernabucci si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Selezionata per la residenza Manifattu in situ continua la sua formazione con l’artista Hidetoshi Nagasawa. Nel 2008 vince il bando Muvin up con il progetto Empty city\mutant place realizzando il primo importante lavoro site specific One hundread flowers alla periferia di Pechino. Il suo lavoro cresce e si sviluppa soprattutto all’estero grazie a borse di studio e progetti internazionali tra Pechino (ArtChannelGallery), Rabat (Fondazione Karim Bennani), Berlino (UrbanNationMuseum fellowship https://urban-nation.com/artist/sara-bernabucci/ ).

Mostre personali (selezione): 

2008 “Empty city\mutant place” Galleria Art Channel, Pechino (cura di Filippo Salviati e Ambra Corinti) 2009 “Senza perdere il filo” Galleria Marte, Roma (cura di Lea Mattarella) 2010 “Signe et corps” Teatro dei Dioscuri, Roma /Galerie Bab Lakbir, Rabat. Patrocinato dall’Ambasciata del Marocco e dalla Regione Lazio (cura di Giulia Giovanardi e Abderrahman Benhamza). 2014 “Scenografie in trasparenza” tra i progetti vincitori nel concorso “Altre esistenze”, Teatro  Valle, Roma. 2019 “Skin-line Project” Urban Nation Museum, Berlino / MACRO Museo, Roma (cura di Yasha Yung e Janine Arndt). 2022 “Open Cluster, at the memory of ” Castelnuovo fotografia ( cura di Michela Becchis)

Prossimi eventi:

Galleria Gallerati, mostra personale a cura di Michela Becchis

TITOLO PROGETTO PER SEMINARIASOGNINTERRA23
LA STANZA DEI PASSI

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Credo che il passato e il futuro non siano categorie rigide e statiche, ma fluide. Come nell’immaginario onirico in cui riusciamo a inserire elementi della nostra storia per raccontare qualcosa che stiamo vivendo. L’arte in modo analogo ha questa capacità di attingere ad un patrimonio collettivo fatto di luoghi, immagini e memorie e rigenerarlo nel presente.  

Quali sono gli elementi su cui vorresti/e lavorare ancora?
Sulla documentazione delle pratiche residenziali e la restituzione al pubblico. Non sono mai soddisfatta di come riesco a raccontare al pubblico il processo, le fasi di lavoro e gli incontri che si susseguono durante una residenza. Avendone i mezzi vorrei sperimentare e indagare diverse modalità.

Raccontami di più dell’opera per Seminaria.
L’opera nasce dall’incontro con Mimmo, il proprietario dello spazio dove andrò a realizzare l’istallazione. Seguendo il suo racconto ho scoperto che in quel luogo fino a pochi anni fa ci lavorava un ciabattino. Lungo i muri usurati della bottega è ancora visibile la zona di lavoro, dove il mobilio ha consumato l’intonaco. Ho immaginato che da quelle tracce emergessero delle forme, quasi come da un trasudo naturale. Partendo dalle forme in legno con cui il ciabattino fabbricava le scarpe, ho pensato circa 200 sculture in cera da allestire lungo le pareti. Un secondo lavoro sarà nella stanza antistante la bottega e composto da carte poggiate a terra che rispecchiano la suddivisione delle travature del soffitto. Anche le carte saranno riempite da tracce realizzate attraverso la sedimentazione di pigmenti e polvere di grafite. Inizialmente il lavoro doveva essere istallato a soffitto poi vedendo che la stanza è piena di oggetti depositati a terra e inutilizzati, ho immaginato che anche le carte come il resto dovessero essere semplicemente poggiate, come se da sempre fossero state abbandonate lì.

Un progetto che non hai potuto realizzare, ma che ti piacerebbe fare?
Un lavoro artistico itinerante e “domestico”. Mi immagino di realizzare un’opera che venga “adottata” di casa in casa all’interno di un paese o di una piccola comunità e che da ogni casa l’opera “trattenesse” qualche nuovo elemento. Mi piacerebbe dargli una struttura circolare, ossia immaginare che dopo un anno esatto dall’inizio, ci si ritrovi nella stessa casa dove tutto è partito a osservare come si è trasformato il lavoro dopo tutti i luoghi che ha attraversato.

La carta è una costante all’interno della storia dell’arte, un supporto archetipico ma ancora in pieno uso data la sua efficacia e semplicità. Libero di essere contaminato e scoperto il foglio si lascia macchiare dalla grafite che tu stessa applichi mediante delle “matrici” inusuali. Come avviene la raccolta di queste matrici? Su quali basi operi la selezione?
Generalmente la selezione avviene nel tempo, stando sul luogo e mettendomi in ascolto. Come un setaccio le storie che sento, le persone che incontro, lo spazio stesso che attraverso mi orienta nella scelta. Non opero mai con dei criteri prestabiliti, ma solo alla fine guardando le matrici che ho trattenuto mi diventa chiara la composizione delle cose.