WANG YUXIANG

Wang Yuxiang è nato nel 1997 ad Anhui in Cina. Le sue opere sono in esposizione permanente in luoghi pubblici e istituzionali. La sua ricerca si concentra sulla fusione della cultura mediterranea​​ con quella orientale d’origine attraverso l’utilizzo di materiali semplici e di un linguaggio visivo apparentemente conciso. Il tempo, la storia, la memoria sono i leitmotiv concettuali che guidano il suo lavoro, l’artista prende le distanze dal luogo dove interviene per analizzare le particolarità, restituendole attraverso architetture visive site-specific. Influenzato dal decostruzionismo, avvia una ricerca e uno studio preliminare sul contesto per intervenire in un secondo momento su di esso. Le tematiche approfondite vertono sulla promozione dell’uguaglianza nell’arte contemporanea, la decostruzione del contesto, la riflessione sulla violenza nascosta e sui diritti nell’estetica e nel paesaggio sociale, l’analisi della fattibilità e delle modalità pratiche di tutela del patrimonio culturale. La sua formazione, iniziata dal luogo di nascita e implementata durante le sue permanenze e i viaggi lunghi, gli permette di combinare la sua ricerca con una considerazione della diversità culturale e del centrismo occidentale nel contesto della globalizzazione.

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Questo è un lento processo dialettico, e non ha fine. È il lavoro quotidiano. Naturalmente, parlando per me stesso, evito di mettere la nostalgia in primo piano.

Quali sono gli elementi su cui vorresti/e lavorare ancora?
Questa volta sono molto interessato alle macine del paese. Ha un senso del certo modo di condivisione di vivere e pensare.

Raccontami di più dell’opera per Seminaria?
Per caso ho parlato con un abitante del villaggio che mi ha raccontato di un evento religioso in cui l’intero paese collabora per portare San Michele sulla collina. Ho chiesto come facesse a sollevare una scultura di peso fino alla cima della collina, un’attività che in realtà è abbastanza comune in Italia. Mi ha detto che ci sono voluti “equilibrio e passione”.
Inoltre, il villaggio era un paese che viveva di condivisione, con l’abitudine di affittare mulini, frantoi e fornelli.
È così che ho voluto realizzare un mulino verticale in un luogo alto, con un sistema di acqua per lavarlo. E collegarlo al paesaggio lontano come una ruota astratta.

Punti di vista “laterali”, dettagli che vengono colti da cui scaturiscono riflessioni anche molto distanti, la capacità di saper osservare ciò che è straordinario in ciò che è ovvio o assodato, pensi sia dovuto dalla molteplici culture che vivi? In che modo cultura occidentale e orientale confluiscono nelle tue opere?
Per esempio, come nel dopoguerra, come nel caso dei fenomeni filosofici e artistici, lo studio dell’ontologia si è spostato verso la decostruzione, il che significa che i “valori” sono sempre in fase di definizione e discussione, che porta alla libertà e allo stesso tempo non ha fine. C’è qualcosa di interessante nell’essere confusi e lucido allo stesso tempo, e ti fa venire voglia di saperne di più. Nell’opera questi pensieri, che la permeano attraverso la fermentazione, non sono una cosa di impressione intrinseca. Come quando si parla di Oriente, direi che anche il luogo in cui sono nato ha conosciuto la modernizzazione negli ultimi tempi, un amalgama di pensiero comunista e capitalista.Anche se si pensa a Lao Tzu, puo dire persino cinico.  Tanti casi Lao Tzu è persino diventata una religione.Dopo essere stato tradotto in diverse lingue, il divario in esso crea mistero. C’è un desiderio di mistero qui che non puoi negare che anche questo sia la ricerca del bisogno. Si può solo puntare a una dialettica costante, altrimenti si rimane nell’impressione intrinseca.